Il premio Nobel Jules Hoffmann ospite di Hunimed: “Essere pessimisti sul Covid-19 è un errore. Il mio consiglio ai giovani ricercatori? Trovate una buona domanda e lavorate sodo”


Un ospite illustre a Humanitas University, in visita per incontrare gli studenti e discutere di ricerca biomedica, immunità e anche dell’attuale pandemia globale. Il professor Jules Hoffmann, dell’Università di Strasburgo, vincitore del Premio Nobel 2011 per la Medicina e del Premio Balzan 2007, con il collega Bruce Beutler, per la loro “esplorazione” del sistema immunitario e le scoperte riguardanti l’attivazione dell’immunità innata ha presentato una conferenza dal titolo “Innate Immune Receptors: from Drosophila to Humans” e risposto alle domande dei giovani ricercatori e studenti.

Che valore dà all’incontro con studenti e giovani ricercatori?

In base agli standard comuni, si può dire che nella mia carriera io abbia avuto successo. Per questo penso sia importante mostrare agli studenti cosa si può realizzare con il proprio lavoro. Quello che cerco di fare è anche spiegare che, quando sei giovane, quando stai facendo un dottorato di ricerca, non devi necessariamente pianificare ogni aspetto di quello che farai. È qualcosa di molto aperto. Oggi siamo partiti dalle cavallette e siamo arrivati al Covid-19. Ma tutto è collegato, anche se all’inizio non te ne accorgi.

Qual è la sua visione del momento difficile che stiamo vivendo in relazione all’epidemia di Sars-Cov-2?

Sono sorpreso che tutte le persone che incontro qui a Milano siano pessimiste sul Covid-19. Penso che questo atteggiamento sia sbagliato. Il Covid-19 è iniziato a dicembre, ma in realtà il problema è stato preso sul serio quando abbiamo avuto la sequenza del genoma, ed è stato il 10 gennaio. In soli otto mesi abbiamo fatto progressi straordinari.

Dobbiamo essere ottimisti sui futuri sviluppi della pandemia?

Siamo in una situazione in cui nessuno è mai stato nella storia. Noi abbiamo documenti su epidemie e pandemie degli ultimi trecento anni. Mai l’umanità è stata in grado di trovare una soluzione tanto quanto lo siamo ora. Ci sono stati sviluppi nella metodologia, nella biologia molecolare, nella chimica. E abbiamo un sistema che reagisce nel modo migliore. Come possiamo essere pessimisti? Pensiamo a Pasteur, che non aveva la comprensione di quello che stava succedendo e le conoscenze che possediamo noi. Oggi è ridicolo essere pessimisti.

Cosa l’ha spinta a intraprendere il suo percorso all’inizio della carriera?

Mi è sempre piaciuta la natura. A mio padre piaceva pescare e io andavo spesso con lui. Mi portava nei campi a raccogliere gli insetti. Mi è sempre piaciuto. Ma quando ho dovuto scegliere a quale università iscrivermi, inizialmente avrei voluto scegliere letteratura, filosofia, storia o lingue. Ma mio padre non me lo ha permesso. Voleva che studiassi scienze e diventassi un professore di scuola superiore in Lussemburgo, e ho obbedito. Dopo la laurea, però, ho deciso di andare in Francia per fare il dottorato di ricerca.

Ha pianificato da subito quello che sarebbe stato il tuo percorso?

Diciamo che non avrei mai pensato di vincere un premio Nobel. Il mio interesse per quello che facevo è cresciuto progressivamente, senza nessun fanatismo. Avevo un’assistente, che in seguito divenne mia moglie. Ci piaceva quello che studiavamo. La passione è aumentata mano a mano che procedevamo, quando ho capito che potevamo davvero scoprire qualcosa di molto interessante. Dopo un po’ ho contattato due scienziati che lavoravano negli Stati Uniti, siamo diventati amici e abbiamo deciso di unire i nostri sforzi, e quello è stato davvero un punto di svolta. All’improvviso ci siamo resi conto che quello che stavamo facendo riguardava l’evoluzione biologica. Venivamo tutti dallo studio di organismi semplici, ma abbiamo capito che avevamo a che fare con modelli che potevano permetterci di rispondere a grandi domande. Tutto questo, inizialmente, non lo avevo certo previsto.

Se dovesse iniziare ora la sua carriera universitaria, quale campo sceglierebbe?

Senza esitazioni, sarebbe la biologia. Il diciannovesimo secolo è stato il secolo della fisica. Il ventesimo è stato quello della chimica. Il nostro secolo sarà quello della biologia, grazie allo sviluppo delle moderne conoscenze e alle nuove tecnologie.

Quali consigli può dare ai giovani scienziati?

Ritengo ci siano tre cose importanti per un giovane scienziato: una buona domanda di partenza, duro lavoro e un po’ di fortuna. Il mio primo suggerimento è di trovare un supervisore molto bravo, una persona che fa buone domande. Penso alla domanda che mi fece il mio professore: perché un particolare gruppo di insetti è così resistente alle infezioni? Non sapevamo niente, era una domanda entusiasmante e mi diede una forte motivazione. In seguito ci furono diversi anni di ‘traversata del deserto’. Di tanto in tanto ero scoraggiato, ma non mi sono mai arreso.

Qual è il segreto per superare i momenti difficili quando si fa ricerca?

Questo è il secondo consiglio: lavorare molto duramente. Quando ero al college, i miei amici di solito se ne andavano il venerdì sera. Io rimanevo a Strasburgo a lavorare il sabato e la domenica. E sapevo leggere in inglese, quindi avevo accesso a libri migliori, che arrivavano dagli Stati Uniti, perché quelli in francese erano più obsoleti. L’ultimo aspetto, che non va mai sottovalutato, è la fortuna.

Sembra essere qualcosa al di fuori del nostro controllo

Si può contribuire alla propria fortuna, si deve aiutare la fortuna. Non basta aspettare che arrivi, bisogna sempre prendere l’iniziativa.

HUMANITAS GROUP

Humanitas è un ospedale ad alta specializzazione, centro di Ricerca e sede di insegnamento universitario. Ha sviluppato la sua organizzazione clinica istituendo centri di eccellenza specializzati per la cura dei tumori, di malattie cardiovascolari, neurologiche e ortopediche – oltre che un centro oculistico e un fertility center.