Da specializzanda a medico anti Covid-19: «L’aspetto più difficile da affrontare? La sofferenza delle persone»


«Sono occupata nell’emergenza fin dall’apertura dei reparti per Covid-19, qui in Humanitas Rozzano. La mia è un’attività medica di fatto, entro in contatto con i pazienti dei reparti isolati e svolgo le attività necessarie alla loro assistenza».

A parlare è Francesca Colapietro, 29 anni, specializzanda in Medicina Interna in Humanitas University, uno dei giovani medici che sono stati chiamati a dare manforte agli specialisti in questo momento di grande bisogno.

Ci può parlare di lei? Com’è arrivata in Humanitas?
«Mi sono laureata a Bari nel 2015, ho avuto una breve esperienza in un reparto chirurgico in Spagna e sogno di diventare un’epatologa. Per questo ho scelto di fare la specializzazione in Humanitas: avevo saputo tramite il professore con cui mi sono laureata che a Rozzano c’era un ottimo centro per il fegato».

Da che cosa nasce questo suo interesse per il fegato?
«M’interessa l’ambito legato a questo organo perché trovo meraviglioso il suo funzionamento, il fatto che ad oggi, a meno che non ci sia un trapianto, non ci sia niente che possa sostituirsi alla sua attività».

Che cosa ci può dire della sua esperienza in Humanitas?
«Faccio parte della prima annata della scuola di specializzazione di Humanitas, quella che è entrata nel 2016 e che quindi non ha colleghi specializzandi “più anziani”, forse per questo ho sempre avuto a che fare con un ambiente molto giovane, fresco, dinamico. Dal punto di vista professionale qui è tutto molto stimolante. Gli specializzandi hanno una discreta autonomia, che se da una parte si traduce in grande impegno, spesso molto duro, dall’altra è una grande opportunità per crescere e maturare in ambito professionale».

Parliamo del suo coinvolgimento nell’emergenza per il Coronavirus. È stata una scelta volontaria o decisa dai responsabili della scuola di specialità?
«È stata una scelta del tutto volontaria. Quando è cominciata l’emergenza a ciascuno di noi è stato chiesto se ci sentivamo pronti a entrare a fare parte del gruppo di operatori sanitari che lavoravano con i malati isolati. Io mi sono candidata subito, non ho avuto alcun dubbio perché questo è il mestiere che ho deciso di fare. Non ho avuto il minimo pensiero negativo, al riguardo, mi è sembrata una scelta doverosa che ho peraltro condiviso con tanti miei colleghi».

Come sta vivendo questo momento? Dove trova la forza per affrontare una situazione così impegnativa dal punto di vista professionale e umano?
«Onestamente non mi aspettavo di trovarmi di fronte a una situazione del genere. Quello che faccio più fatica ad affrontare è la sofferenza delle persone che ogni giorno riscontriamo nelle corsie, ogni volta che entriamo nei reparti di isolamento. La specialità che ho scelto, la medicina interna, è basata sul contatto diretto con i pazienti, ma qui tutto è molto più difficile perché siamo di fronte a malati complessi, isolati, completamente soli e noi siamo bardati, abbiamo addosso infiniti strati di plastica. È molto difficile, ma nessuno, qui, si tira indietro: ufficialmente facciamo turni di 6 ore, ma in verità siamo sempre super presenti. Prima di tutto, per noi, in questo momento ci sono i nostri pazienti».

HUMANITAS GROUP

Humanitas è un ospedale ad alta specializzazione, centro di Ricerca e sede di insegnamento universitario. Ha sviluppato la sua organizzazione clinica istituendo centri di eccellenza specializzati per la cura dei tumori, di malattie cardiovascolari, neurologiche e ortopediche – oltre che un centro oculistico e un fertility center.